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Intervista a Don Ettore Cannavera, fondatore della comunità "La Collina" www.comunitalacollina.it comunitalacollina@tiscali.it Intervista di Alesandro Aramu -- Immagini di Chicco Lecca (Alessandro Aramu) A.A. -- Siamo con Don Ettore Cannavera, fondatore della comunità "La Collina" a Serdiana, un'esperienza che nasce ne 1995. Ci può raccontatore quali sono state le motivazioni che l'hanno spinta a fondare e a dar vita a questo progetto? (Don Ettore Cannavera) D.E.C. -- È nata nel carcere minorile di Quartucciu, dove io già da due anni ero cappellano, nel 1993. Ho visto molti ragazzi che, finito di espiare la pena, ritornando nei loro contesti, facilmente ricommettevano reati. Li ritrovavamo spesso nel nostro carcere minorile o addirittura nel carcere degli adulti, a Buoncammino, allora ho pensato: si può scontare la pena in altro modo, fuori dal carcere? Mi presento in tribunale, al presidente del Tribunale dei Minori, e mi dice: certo, la legge lo prevede, se hai una struttura dove mi garantisci un certo controllo e una collaborazione stretta con noi e con il servizio sociale, si può. E cosi, nel 1995, insieme ai volontari che già lavoravano con me dentro il carcere di Quartucciu, abbiamo avviato la prima struttura che chiamammo "Collina 1" nata solamente dalla volontà, dalla caparbietà e dalla disponibilità economica di un gruppo di 25 persone, che si sono quotate, tra cui un magistrato e due avvocati. Senza nessun contributo istituzionale, abbiamo tentato questa esperienza e abbiamo accolto cosi primi i due ragazzi condannati per omicidio della zona del nuorese, anche con una certa perplessità del procuratore, perché potrebbero ricommettere reati. È stata grande la fiducia che ci ha dato il presidente del tribunale di allora, Gianluigi Ferrero, per iniziare questa esperienza. Nel giro di pochi anni le richieste sono cresciute di molto, per cui era necessario fondare una "Collina 2",una "Collina 3", una "Collina 4", come stiamo facendo adesso. Ogni comunità può avere un massimo di 6 ospiti, le comunità sono piccole per permettere ai ragazzi di avere una relazione affettiva significativa. Cosi, dopo la prima esperienza durata 4 anni, ci siamo presentati alle istituzioni, alla Regione Sardegna, chiedendo di costruire e finanziare un'espansione di questa esperienza, così anche con l'aiuto del tribunale, hanno dato la spinta e l'allora assessore e tutto il consiglio hanno stanziato nella finanziaria quasi due milioni di euro per avviare tutto il resto che vedete qui. Noi abbiamo messo a disposizione il nostro terreno, era mio, ereditato dai miei genitori. Quindi grazie al fatto che noi privati abbiamo dato allo Stato un pezzo di terreno, si sono subito convinti che doveva essere un'opera buona. Cosi siamo arrivati ad avere 4 comunità, tre qua dentro e una in appartamento fuori a Serdiana, per accogliere questi ragazzi che si trovano tutti in espiazione penale e che stanno ancora scontando la pena in misura alternativa alla detenzione. A.A. -- Quanto è importante trovare e applicare misure alternative alla detenzione, soprattutto per i ragazzi, per i giovani, per i minori? D.E.C. -- È un problema di estrema attualità, proprio ieri ero a Roma a discutere di questo. È stata anche una proposta che ha fatto il Ministro Severino in Parlamento ma non è passata, purtroppo, perché la percezione della società è ancora giustizialista: meglio il carcere, fuori sono pericolosi. Oggi, finalmente, anche la politica si sta muovendo per le misure alternative per tanti motivi, a iniziare dal sovraffollamento in carcere, quello che convince di più sono i dati della recidività. Voi pensate che in carcere 7 su 10 sono recidivi, hanno scontato e ricommettono reato, nelle comunità come la nostra a livello nazionale la recidività scende al 10% , non si salvano tutti ma devo dire che da noi è scesa al 4%, quindi su 1900 ragazzi che sono passati qua solo 4 hanno ricommesso reato. Facendo anche un calcolo economico di prevenzione di recupero delle persone, possiamo dire con certezza che le misure alternative sono vincenti, non per tutti, non parlo della criminalità organizzata di Toto Riina, parlo dei ragazzi che commettono reati per il loro disagio psicologico, per il contesto in cui vivono, il carcere non serve è dannoso, commettono ancora più reati, il carcere è scuola di devianza. A.A. -- Per la sua esperienza, com'è cambiato il disagio minorile in questi anni non solo da quando ha fondato la comunità ma anche la sua esperienza, in carcere, come cappellano? D.E.C. -- È cambiato in negativo, in questo senso: pensate che prima i ragazzi che erano in carcere venivano mandati da noi, voi pensate che a Quartucciu avevamo 45 ragazzi oggi ne abbiamo 4...